“Dopo Ferragosto che si fa?”. E’ la domanda che ci poniamo in famiglia a metà luglio e la destinazione viene dibattuta. Fortunatamente Santiago risolve il problema con “Accontentiamo babbo, andiamo in montagna!”. Chissà forse comincia anche ad accontentare se stesso.
Scelgo San Martino di Castrozza, meta sconosciuta per tutti noi, ma tanto in montagna non si sbaglia mai.
Si parte un po' nervosi ed arriviamo la domenica sera. L’appartamento carino, ci colpisce subito l’ampia vetrata che dovrebbe dare sulle Pale, ma è buio e non ho ancora idea della posizione della casa. Il secondo colpo di fortuna è il ristorante proprio sotto la casa, una buona soluzione con ampia offerta di piatti locali con i loro profumi, personale cortese e tanta voglia di sentirci in montagna. Il tutto ci regala una bella chiusura di giornata.
L’indomani mi ritrovo a Passo Rolle in un lunedì di agosto alle ore undici, alla ricerca faticosa di un parcheggio, circondato di gitanti che vanno per malghe. Francesca che arranca dietro, io a fare da elastico con Santiago che davanti cammina immusonito. Una banale passeggiata ma associo la constatazione di dover conciliare esigenze diverse.
Ancora non riesco a godere appieno dell’ambiente intorno, abituato ad una microconoscenza degli appennini mi sento stordito dalla grande mole rocciosa che si para di fronte. Non conosco nomi, percorsi, son partito senza alcuna ricerca, senza aver chiesto consiglio ad alcuno.
Allora mi affido al ragazzo del Tourist Information e chiedo una “Escursione gratificante per conoscere la zona”. Mi suggerisce deciso “Il Rifugio Velo della Madonna, 1000 mt secchi e tirati”.
Torno nell’appartamento e annuncio “Domani vado! Se Santi viene: bene, altrimenti vado da solo”.
Mi alzo in una casa addormentata, spunta fuori la mail urgente da spedire, colazione, porta della stanza di Santiago chiusa. Si fanno le 10 … “Ndo vado ormai” penso tra me e me.
Improvvisamente Santiago spalanca la porta della stanza e dice “Andiamo!”. Io rimango un po' disorientato: l’ora, il caldo, lo zaino da preparare… Boh! Sono abituato a partenze organizzate e programmate al millesimo. Ma è una occasione da non perdere, ficco nei due zaini un po' di materiale, riempio un paio di panini. Francesca tenta un “Vengo anch’io!” ed io “No tu no, vai a farti una passeggiata alla malga vicino al paese, non ce la puoi fare!” anzi sono io che non ce la posso fare a gestire tre andature così diverse.
Raggiungiamo il punto di partenza in auto e iniziamo a camminare verso le 11 un orario per me folle, ma mi ripeto che tocca prendere l’occasione al volo. Saliamo alla malga Civertaghe da dove parte il sentiero (scopriremo al ritorno che si poteva anche salire più in alto con l’auto risparmiando una mezz’ora di escursione).
Iniziamo il tratto di bosco e Santiago è carico, parte bene ed io ad arrancare come sempre ormai; ma lui in realtà non ha mai percorso dislivelli importanti e pensa che con qualche passo di touch arriva al rifugio. Appena usciamo dal bosco si rende conto che manca ancora molto e chiaramente subentra la noia. La pettata è notevole e anche a me non piace trascinare persone demotivate, ma provo con il “Facciamo un altro pezzettino fino al cartello li in alto”. Procediamo a distanza su terreno scoperto, ma una volta giunti al cartello ci ricongiungiamo e l’ambiente è diventato maestoso e solenne; inoltre grazie alla teleferica di servizio si intuisce che il rifugio è relativamente vicino. “A questo punto proviamo ad andare, ci aspettano al rifugio Raddler e uova con speck”. È la miccia giusta, il sentiero inoltre diventa attrezzato dando a Santiago un po' di piacere nel salire su roccette, schizza via aggira il costone, lo perdo di vista ma lui aspetta dietro l’angolo e mi indica sorridente il rifugio appena apparso come un miraggio. Ci spariamo i due panini e dopo poco siamo davanti ad un bel piatto di uova allo speck e Raddler. I nostri volti diventano distesi e soddisfatti e riscendiamo con un umore completamente rigenerato, scambiando impressioni sulla escursione e sui boschi colpiti dalla tormenta Vaia che ha sdraiato e addormentato i giganti ai piedi della montagna. Riperdo Santi nel bosco, spero che non si diriga verso San Martino; ma sento il verso del cuculo, quello che gli ho insegnato da bambino e rispondo congiungendo le mani e soffiando come un cretino la risposta. Un paio di escursionisti ridono al mio passaggio e commento il nostro strano modo di comunicare.
Eccoci finalmente alla sterrata per l’ultimo tratto che avremmo potuto risparmiarci.
Torniamo a casa con la piacevole soddisfazione della piccola conquista, anche Francesca racconta della sua impresa alla malga e ci scambiamo impressioni come grandi alpinisti. La doccia ha un sapore particolare e allungo per qualche minuto lo scorrere dell’acqua. Ma ancor più bello è mettersi davanti alla vetrata e rendersi conto che il rifugio è li davanti a me, ripercorro il sentiero con la mente, lo ripasso, lo riassaporo. Sono li immobile e penso che inizio a conoscere seppur minimamente quella montagna, arriva il tramonto e lentamente la montagna spegne la sua luce. Ma nella vetrata, diventata lavagna nera, la luce del rifugio è accesa e penso: oggi siamo stati li.
Per Santiago la prima escursione di 1000 metri, per me la prima escursione di 1000 metri con Santiago.
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