Il mio nuovo dentista ha lo studio a Borgo Podgora, vicino Latina. Lui stesso non si capacita del fatto che preferisca servirmi delle sue prestazioni professionali piuttosto che di quelle di uno degli innumerevoli odontoiatri romani, alcuni anche a due passi da casa. In realtà, oltre ad essere un amico, bravo e molto onesto, la sua caratteristica principale è proprio quella di lavorare a due passi dai Lepini.
Infatti, prendendo appuntamento nel pomeriggio, riesco sempre a farmi una sgambatina, al mattino, sulla “dark side” di qualcuna di queste montagnette, il lato ovest, da me sempre trascurato in passato per una sorta di snobismo nei confronti delle basse quote. Così, con la scusa del dentista, me la squaglio di casa all’alba e, complice la breve distanza con i borghi Pontini, alle sette o poco più sono già in movimento. In famiglia cerco sempre di essere vago sull’orario dell’appuntamento, così da poter gestire eventuali rimostranze in merito al periodo di assenza.
In una di queste incursioni ho, però, esagerato: vista l’altezza modesta delle montagne e la voglia, invece, di fare un bel dislivello, decido di partire dalla località “Ponte Vado la Mola”, altezza m 131, leggo sulla carta, tra Norma e Bassiano, a due passi dall’Abbazia di Valvisciolo. Mi innamoro del percorso solo guardandolo sulla cartina, lungo, sinuoso e con una bella cresta. Volendo si può arrivare fino alla Semprevisa, ma non mi interessa, ci sono già stato diverse volte. L’Ardicara, invece, con i suoi 1400 e spicci metri di altezza mi sembra una buona meta, unita alla Croce di Capreo e al Capreo stesso, che ho salito una sola volta, mi stuzzica l’appetito e penso che ne verrà fuori un bell’itinerario.
Certo con il dentista alle 16,00, oltre 20 chilometri di lunghezza e 1500 metri di dislivello da percorrere, mi dovrò sbrigare. Ma il dado è tratto e alle 7,20 chiudo l’auto e mi avvio. Ho parcheggiato a 170 metri di quota, mai partito da un punto così in basso, tranne che per il Circeo e lo Stromboli, ma l’aria è fresca e il percorso sarà in ombra, per via dell’esposizione, almeno per un’altra ora.
Dopo mezzora già mi sono pentito, il sentiero si infogna nella macchia bassa, i rovi mi graffiano le braccia e, siccome sono allergico, ho tutti gli avambracci ricamati a rilievo con piccole ferite rosso vivo, manco mi fossi fatto marchiare a fuoco come fanno alcuni fan dei tatuaggi. È pieno di ragnatele che mi si attaccano alla faccia e mi finiscono negli occhi. Comincio anche a lacrimare e non vedo via d’uscita da dentro questo fosso vigliacco. Non riesco nemmeno a vedere le coste della val Carella che sto percorrendo. Il verde e il marrone mi avvolgono: roverelle, lecci, rovi, erbacce, felci alte 1 metro e ginestre, belle queste ancora con i fiori gialli; fango, terra rossa, tronchi e rami. Insomma …. due palle, potrei essere in una qualsiasi marana di un qualsiasi posto del mondo con le stesso clima umido.
Dopo ben un’ora e venti e 5 km, arrivo, completamente zuppo di sudore, alle fonti della Fota: c’è la vecchia, in secca e con l’iscrizione dedicata a Papa Leone XIII, e la nuova, orrenda con la centralina di captazione dell’acqua e la strada sterrata che scende dal Campo di Montelanico.
Pazienza, almeno mi sono levato dall’avviluppo verde e posso procedere per la rampa cementata che mi fa guadagnare quota rapidamente. A 800 metri circa, supero la bella Fonte Rapiglio e proseguo sulla sterrata verso Montelanico fino a scavalcare la dorsale principale dei Lepini. Poi ne seguo il filo in direzione Sud Est e, finalmente, in un ambiente che ora mi appaga completamente, giungo alla Croce di Capreo, svettante al di sopra dall’ombrosa faggeta di alto fusto.
Tre orette a pieno ritmo mi ci sono volute, il dislivello non è eccezionale, ma sono ben 10 Km e mezzo! Mentre faccio merenda e mi asciugo al sole, riflettendo sul fatto che avrò già perso un paio di litri di liquidi, mi interrogo anche sull’appuntamento delle quattro; farò in tempo a fare tutto il giro?
Penso di essere nei tempi e alle 10,45 mi incammino per il Capreo e poi per la sella di Mezzavalle, l’incrocio con il sentiero Nardi alla sella dell’Ardicara e l’omonima cima. Prima di mezzogiorno sono di nuovo alla sella di Mezzavalle, intorno ai 1300 m, e mi dedico al mio magro pranzetto.
Si annuvola e parto di gran carriera per la valle della Fota che, nella sua parte alta, è eccezionalmente bella. Ha una pendenza meravigliosa per la discesa, si cammina a gambe distese sul fondo morbido, un po’ di fango un po’ di foglie, in mezzo a faggi secolari, senza un sasso, senza un ramo in mezzo: gli animali al pascolo hanno pulito tutto. E mentre le mie ginocchia ringraziano beate e mi perdo nei miei pensieri, sento un rumore: una mamma cinghiale sta con i suoi 2 piccolini a pochi passi da me e mi guarda interrogativa. Mi blocco istintivamente, ma sento un altro rumore a monte alla mia destra: papà cinghiale, mi supera al galoppo ad una ventina di metri di distanza, scende a valle, raduna la sua famigliola e risalgono insieme sulla costa sinistra.
Liberano il sentiero e mi posso muovere, ma non si allontanano molto; si fermano tutti ad una cinquantina di metri a monte e mi guardano come per dire: “Aho, ma te ne voi annà?” Non me lo faccio ripetere due volte e, ancora un po’ scombussolato, riparto al trotto certo che ormai nulla mi impedirà di arrivare a Fonte Rapiglio per farmi una bevuta colossale, visto che, nel frattempo, ho anche esaurito la mia esigua scorta di un litro d’acqua.
Ma ancora, mentre cammino spedito, qualcosa si muove tra gli alberi, è talmente scuro con gli occhiali da sole che non vedo bene: sono solo mucche, alcune hanno il mantello quasi nero, ma ci sono anche quelle bianche, con i vitellini, ora le vedo bene. Si alzano dalla loro posizione privilegiata sotto le chiome di faggi enormi e cominciano a correre in discesa. “Ma no, non scappate, stupidine, fermatevi che vi passo di lato!”
Poi ne vedo una scura che invece rimane ferma di traverso in mezzo al sentiero. “Che strano, come mai non si accompagna alle altre, le mucche sono gregarie”. Mi levo gli occhiali e guardo meglio: la “mucca” ha un bel pendaglio sotto la pancia e, ora che si è messa di tre quarti, vedo bene anche gli attributi!
“Cavolo è un toro! Magari un vitello non ancora castrato, ma non è per niente piccolo, sarà una bestia da tre o quattro quintali!”, mi dico.
E mi guarda, non se ne va. Sono vestito di scuro, ma ho lo zaino arancione “Hai visto mai gli desse sui nervi il colore?”, penso. Mi fermo e faccio rumore sbattendo i bastoncini; intanto giro lo sguardo intorno per vedere se c’è qualche ramo basso su cui arrampicarsi nel caso si decidesse per una improbabile carica in salita. Se ne va, ma con calma, rimane in mezzo al sentiero, quasi come a guardia della sua mandria di signore e signorine.
“Ma perché sono così stupide ‘ste mucche?” Provo a tenermi alto sulla sinistra, ma si sono sparpagliate. Da dietro un albero sbuca di nuovo il torello. Provo a destra allora, ma niente da fare. “Sono peggio dei cinghiali” penso, mentre, invece di starmene tanto bene sul magnifico sentiero, mi tocca ravanare su questa costa scoscesa perché non riesco a superare un gruppo di mucche con un torello che fa da guardia. “Ma non sarò io, forse, un po’ troppo fifone?”
Mentre cerco di farmi coraggio per rischiare il “tutto per tutto” in un passaggio “raso torello”, lui si alza sulla riva sinistra, la sua mandria anche è andata di là, il fosso è libero; scendo allora a rotta di collo per il pendio ripido di foglie e me la squaglio, con un passo da mezzofondista, per il bel sentiero di fondo valle.
Alla fonte bevo e riempio la borraccia; poi mi getto di nuovo, ahimè, nella macchia del mattino. Alle 14,20 raggiungo il parcheggio, pieno di graffi, con gli occhi che mi lacrimano e il naso che mi cola. Ecco perché detesto le gite in bassa quota, soprattutto se infrascate. Per fortuna, me lo dimentico e ogni tanto ci riprovo!
Mi lavo quindi alla buona con le salviette umidificate e mi cambio di tutto punto. Faccio in tempo a bermi una birra e a lavarmi i denti; alle quattro in punto sono allo studio.
“Allora Giorgio, sei pronto per l’estrazione?” mi domanda il mio amico dentista.
“Come no, sono già anche perfettamente sedato, prontissimo!”
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