Alta via dei silenzi

23-30 agosto 2024

La primavera scorsa Tiziana mi aveva detto che le sarebbe piaciuto fare un trekking in Dolomiti, però lontano dalla folla.

Di primo acchito potrebbe sembrare una mission impossible. 😉 Ma chi conosce le Dolomiti sa bene che, al di fuori dei luoghi più turistici e inflazionati, ci sono ancora zone tranquille e poco frequentate. Una di queste è costituita dalle Dolomiti Friulane o d'Oltrepiave.

In questa fascia, che si trova per l'appunto sulla sinistra idrografica del Piave e lungo il confine tra Veneto e Friuli, si sviluppa l'Alta Via n. 6, detta "dei silenzi". Il percorso parte dalle sorgenti del Piave, sopra Sappada, e termina a Vittorio Veneto. Io ne avevo sentito parlare perché, data la mia origine coneglianese, conosco i sentieri dell'Alpago e del Cansiglio che ne costituiscono l'ultima tappa.

Il percorso completo è molto lungo, richiede 11-12 giorni; inoltre nella seconda metà prevede alcuni pernottamenti in bivacchi e ricoveri incustoditi. Quindi ho proposto a Tiziana di farne soltanto la prima parte, dalle sorgenti del Piave fino a Erto, presso la diga del Vajont, per un totale di 7 tappe. L'itinerario non prevede ferrate o sentieri attrezzati, ma diverse tappe sono di difficoltà EE, con un po' di roccette, ghiaioni e passaggetti esposti.

Abbiamo provato a coinvolgere nel progetto alcuni amici, ma tutti, per motivi diversi, hanno declinato l'invito (invitus inviti invito invitum invite invito 🤪); quindi l'equipaggio si è limitato alla premiata ditta Gasparoni-Tonelli.

Venerdì 23 agosto
La partenza

Io mi trovo già a Conegliano, al termine della prima settimana di vacanza; Tiziana mi raggiunge in treno la sera del 22. Venerdì mattina partiamo alla volta di Sappada.

Dato che faremo una traversata, dobbiamo lasciare la macchina nei pressi del punto di arrivo del trekking e raggiungere la partenza con i mezzi. Detto così sembra facile... ma il rovescio della medaglia di andare in zone poco turistiche è che sono servite male dai mezzi pubblici. Per raggiungere le sorgenti del Piave dobbiamo:

  • andare in auto da Conegliano a Longarone;
  • prendere un bus (sostitutivo del treno a causa di lavori sulla linea) da Longarone a Calalzo;
  • prendere un bus da Calalzo a S. Stefano di Cadore;
  • prendere un bus da S. Stefano di Cadore a Sappada;
  • prendere un passaggio in pick-up gentilmente offerto dai gestori del Rifugio Sorgenti del Piave.

In pratica una giornata intera per fare 130 km. Se ci andavo in bici ce mettevo meno. 🤣 Comunque, come Dio vuole, raggiungiamo finalmente l'agognata meta e ci godiamo il primo tramonto alpino (e il piacevole freschetto dei 1800 m).

Il rifugio, dominato dalla mole del Monte Peralba, è carino e confortevole. Durante il giorno è molto frequentato da escursionisti e turisti (ci si arriva in auto), ma verso sera si svuota, e rimaniamo solo in 6 a cenare e pernottare. La stessa cosa accadrà in diversi rifugi nei giorni successivi.

Sabato 24 agosto
Tappa 1: dalle sorgenti del Piave a Sappada

Dopo abbonadante colazione, alle 8 siamo pronti a partire per il nostro cammino. Il tempo è bellissimo. Iniziamo per una comoda sterrata, ma ben presto deviamo per un sentierino che si inerpica in direzione della cresta rocciosa che separa la Val Sesis dalla valle di Sappada. Il sentiero è ben segnato e si segue senza difficoltà, però è davvero un tracciolino minuscolo e solitario. Cominciamo a capire che il nome "alta via dei silenzi" non è fuori luogo: in tre ore di salita incontriamo solo una persona.

Dopo un lungo tratto in traverso, che provoca qualche ansia a Tiziana, entriamo in un canalone che ci porta al Passo del Mulo (2356 m), punto più alto della tappa. Gli ultimi 100 m di salita si svolgono su un ripido ghiaione, di quelli in cui fai un passo avanti e due indietro. 😅 Comunque, con un po' di fiatone raggiungiamo il passo e facciamo una sosta per riprenderci e contemplare il panorama.

Poco sotto il passo, sul versante sappadino, si trovano i laghi d'Olbe, tre piccoli specchi d'acqua in un bell'altopiano prativo. Qui un po' di gente la troviamo, poiché si tratta di una facile meta escursionistica per chi sale da Sappada.

La discesa è decisamente meno interessante della salita, poiché si svolge in gran parte su una ripida carrareccia (che d'inverno è una pista da sci).

Arrivati a Sappada, andiamo subito a riposarci nella pensioncina che abbiamo prenotato per stanotte; quindi usciamo a fare una passeggiata per il centro del paese, abbastanza animato di turisti e villeggianti. Quello che non sapevo è che Sappada è un'isola linguistica germanofona: nell'XI secolo alcune famiglie provenienti dall'Austria si stabilirono qui e formarono una comunità. Ovviamente oggi tutti parlano italiano, con accento friulano, ma la maggior parte dei cognomi e dei toponimi sono tedeschi.

La pensione è semplice e un po' agée, però si mangia molto bene. L'ottima cena ci ristora a dovere dalle fatiche del primo giorno di cammino.

Domenica 25 agosto
Tappa 2: da Sappada al Rif. F.lli De Gasperi

Oggi la tappa inizia in pianura: dopo aver attraversato Sappada, prendiamo una comoda sterrata che si infila in una valle laterale in direzione sud. Dopo un paio di km la valle si restringe tra alte pareti e la sterrata diventa sentiero, costeggiando il torrente di fondovalle. Tra l'altro, in alcuni punti le forti piogge hanno eroso le sponde, cancellando il sentiero e costringendo a camminare nel letto del torrente (che per fortuna ora è asciutto). I segni bianco-rossi sono comunque continui ed evidenti, e il sentiero si segue senza difficoltà.

La traccia GPS indica che a breve dovremo lasciare la valle per risalirne il versante est, verso il Passo Elbel. Scrutiamo con curiosità il ripido versante, per cercare di intuire in che punto si arrampicherà il sentiero; ma lo vediamo solo quando arriviamo al bivio (ben segnalato). Si tratta infatti di un esile tracciolino, che sale ripido e con mille tornanti tra erba e sassi. Passiamo anche davanti a una bella cascata formante un piccolo laghetto tra le rocce. Man mano che procediamo la salita si fa meno ripida, ed entriamo in una verde valletta che ci porta infine a raggiungere il Passo Elbel (1963 m).

Anche oggi non abbiamo incontrato quasi nessuno, solo un paio di persone e un ciclista sulla sterrata iniziale. Ci siamo solo noi e la montagna, con i suoi suoni e i suoi colori.

Lasciato il passo, il sentiero scende gradualmente, traversando per il fianco della montagna. Incontriamo un paio di ghiaioni da attraversare con attenzione. Verso i 1650 m troviamo il bivio con il sentiero che dovremo prendere domani. Ora invece proseguiamo dritti, salendo nuovamente, per raggiungere il Rif. Fratelli De Gasperi (1767 m).

Lo statista democristiano non c'entra nulla: si tratta di tre fratelli friulani, alpinisti nei primi del '900; uno di loro morì in un incidente nel 1907, mentre gli altri due perirono al fronte durante la Grande Guerra ('na strage... 🤭).

Il rifugio è in una bellissima posizione panoramica sulla Val Pesarina. La gestrice si chiama Anna, è molto simpatica e accogliente... e fa dei dolci buonissimi! 😋

Una volta ripartiti gli avventori giornalieri, rimaniamo completamente soli. Anna ci dice che nelle settimane precedenti il rifugio era quasi pieno; ma ormai siamo alla fine di agosto e la stagione volge al termine. Pertanto veniamo saziati e coccolati amorevolmente, con una cena buonissima e abbondantissima!

Lunedì 26 agosto
Tappa 3: dal Rif. F.lli De Gasperi al Rif. Ten. Fabbro

Studiando l'itinerario avevo intuito che questa sarebbe stata la tappa meno interessante. Si tratta infatti di una frazione abbastanza breve e che si svolge in gran parte su sterrate e carrarecce. Però la cosa ci fa buon gioco, poiché oggi il meteo prevede temporali dalle 14. Per questo motivo scegliamo di partire presto, prima delle 8, per cercare di arrivare a destinazione entro l'ora di pranzo.

Ripercorriamo a ritroso l'ultima parte del sentiero di ieri; poi al bivio prendiamo a sinistra, continuando a scendere verso la Val Pesarina. In breve raggiungiamo un'area prativa, passando accanto a una casera. Le casere, in questa zona, sono gli alpeggi, dove si portano le mucche a pascolare durante l'estate. Infatti ne incontriamo parecchie, intente a ruminare placidamente.

Da qui proseguiamo per strerrate e carrarecce, tra boschi e pascoli. Siamo intorno ai 1400 m di quota e le conifere lasciano il posto ai faggi. Questo ci fa sentire un po' a casa... sembra quasi di stare in Appennino.

Scavalliamo Forcella Lavardét, un valico prativo a 1531 m. Qui siamo a poche decine di metri dalla strada asfaltata, ma non c'è alcun rumore di auto o moto. Infatti, la strada è temporaneamente chiusa al traffico a causa di una frana caduta in Val Pesarina a fine luglio.

Passiamo per la Casera Campo (altre mucche), per poi iniziare la salita finale - sempre su carrareccia - che ci porta a raggiungere la nostra meta odierna, il Rif. Tenente Fabbro (1800 m).

Il tempo ha retto: il temporale arriva soltanto verso le 15, e comunque con pochissima pioggia. Anche oggi, tolte le mucche e due tizi in MTB, non abbiamo incontrato nessuno.

Il rifugio si trova lungo la strada, presso il valico di Sella Ciampigotto, che collega il versante carnico con quello cadorino. Qui le macchine arrivano, perché fin qui la strada è aperta. Infatti il locale è molto animato da avventori e turisti di passaggio. Ma, come ieri sera, ripartiti gli avventori giornalieri, rimaniamo solo noi due a cenare e dormire.

Il ristorante è carino e si mangia molto bene. Al contrario, la parte di rifugio vero e proprio è piuttosto trascurata. È evidente che, trovandosi lungo una strada carrozzabile, puntano più sulla ristorazione che sui pernottamenti.

Martedì 27 agosto
Tappa 4: dal Rif. Ten. Fabbro al Rif. Giàf

Al contrario di ieri, la tappa odierna è una delle più lunghe del giro. Per fortuna il meteo è previsto stabile (sia per oggi che per i giorni seguenti).

Dopo un'ottima e abbondante colazione, partiamo come sempre verso le 8.

La tappa inizia in discesa, lungo una valletta percorsa da un esile sentierino (ma, come sempre, ben segnato). In fondo alla discesa prediamo una carrareccia che sale ripidamente alla Casera Doana, altro alpeggio in bella posizione panoramica. L'edificio è abitato, poiché le persiane sono aperte (dietro una finestra si vede anche un gatto), ma al momento non sembra esserci nessuno. Penso ad altre zone delle Dolomiti, in cui le malghe sono state tutte trasformate in bar-ristoranti. Qui invece le casere mantengono ancora la funzione originaria di ricovero estivo per il bestiame e per chi lo alleva.

Lasciata la casera, il sentiero prosegue lungo un crinale erboso, con splendida vista verso le guglie del Cridola e dei Monfalconi. Il senso di isolamento qui è molto forte: tutt'intorno non si vedono che boschi a perdita d'occhio e creste rocciose che torreggiano sopra di essi. Provo la suggestione di essere un personaggio di Bàrnabo delle montagne, il primo romanzo di Buzzati in cui un gruppo di guardiacaccia vive per mesi isolato dal mondo tra boschi e rupi incombenti.

Passiamo per una zona dove sono ancora visibili i segni della tempesta Vaia del 2018. I tronchi caduti sono in gran parte stati rimossi, ma il sentiero ha dovuto essere ritracciato in molti punti, per riuscire a passare attraverso il bosco devastato dal ciclone.

Un lungo tratto in discesa ci porta al Passo della Mauria (1298 m), altro valico stradale tra il Cadore e la Carnia. Ci sarebbe un bar, ma è chiuso. Peccato, avremmo bevuto volentieri una coca-cola per rinfrescarci. Facciamo comunque una sosta ristoratrice, mangiando una barretta; quindi riprendiamo la marcia per l'ultima parte della tappa.

Lasciato il passo, il sentiero procede più o meno in quota, attraversando il letto di due torrenti che vanno a formare il neonato Tagliamento; quindi risale una costa boscosa e prosegue in un lungo traverso, molto panoramico, fino all'agognato Rifugio Giàf (1400 m).

Qui abbiamo la sorpresa di scoprire che il rifugio è gestito da due ragazzi romani, Alessandro e Marco, che hanno abbandonato la frenesia dell'Urbe per le selvagge Dolomiti Friulane. Tra l'altro, subito dopo di noi arrivano tre amici romani di Alessandro, venuti a fargli visita. Mi viene da sorridere perché mi fanno pensare agli amici di Rocco Schiavone che vanno a trovarlo ad Aosta. 😄

Stasera, per la prima volta, troviamo un rifugio quasi pieno. Il motivo è che qui, oltre all'Alta Via n. 6, passa l'Anello delle Dolomiti Friulane, un itinerario di 4 giorni che permette di esplorare questa bellissima zona. Potrebbe essere un'idea per un prossimo trekking.

Mercoledì 28 agosto
Tappa 5: dal Rif. Giàf al Rif. Padova

Oggi di nuovo una tappa breve, la più breve del viaggio: un'unica salita di 650 m seguita da una discesa di 800. Ma la cosa ci va bene, perché domani avremo invece la tappa più impegnativa.

L'idea sarebbe di partire un po' più tardi; ma, andando a dormire presto la sera, alle 6 siamo già svegli. Per quanto ce la prendiamo comoda nel perpararci e fare colazione, alle 8.15 siamo bell'e pronti.

Inizialmente il sentiero sale piuttosto ripidamente nel bosco; verso i 1800 m la vegetazione si dirada e ci addentriamo in un bellissimo vallone detritico (non ripido) compreso tra la mole del Cridola e una cresta di cime che ci separa dal gruppo dei Monfalconi. Il valico che dobbiamo passare ha un nome piuttosto curioso: Forcella Scodavacca 🐮 (2043 m). Una volta raggiuntala, il panorama si apre sul versante cadorino, e scorgiamo di fronte a noi l'inconfondibile profilo del Pelmo (il caregón).

La veloce discesa ci porta a raggiungere il Rif. Padova poco dopo mezzogiorno. Anche questo è un rifugio di facile accesso (da Domegge di Cadore si raggiunge con una breve passeggiata), quindi è molto affollato di avventori giornalieri.

Dopo una pausa spuntino, io decido di fare altri due passi, seguendo un piacevole sentiero che si addentra nel bosco; alla fine cammino altre 2 ore, compiendo un anello che mi riporta al rifugio. Tiziana invece preferisce passare il pomeriggio in totale relax, per caricare le batterie in vista della tappa di domani.

Come da copione, anche oggi, partiti gli escursionisti giornalieri, rimaniamo quasi soli a pernottare. C'è solo un altro escursionista solitario che sta facendo l'Anello delle Dolomiti Friulane.

Giovedì 29 agosto
Tappa 6: dal Rif. Padova al Rif. Pordenone

Come ho accennato, oggi ci aspetta la tappa più impegnativa del percorso... ma anche la più bella; quella che aspettavo fin dalla partenza.

Per un breve tratto ripercorriamo a ritroso il sentiero di ieri; poi pieghiamo a destra puntando verso il gruppo dei Monfalconi. Per valicarne la cresta dobbiamo salire alla Forcella Montanaia (2330 m) attraverso un canalone detritico piuttosto ripido. Tiziana è un po' spaventata da questa salita. Io cerco di tranquillizzarla, spiegando che si tratta di un percorso escursionistico, privo di difficoltà alpinistiche: nulla che non abbiamo già fatto decine di volte. Ma percepisco la sua preoccupazione.

Iniziamo a salire nel canalone, che è effettivamente ripido, ma il sentiero è ben segnato e tracciato per seguire il percorso più agevole possibile. Nella prima parte, dove il vallone è ancora largo, si sale al centro, zigzagando nel ghiaione; poi, quando il canale si restringe, la traccia sale rasentando la parete destra, dove la roccia è più solida e ci si può aiutare con le mani, agevolando la progressione.

A metà salita veniamo raggiunti da un escursionista solitario. È un signore di Domegge, che ha voglia di ciacolare e ci fa compagnia per il resto della salita. Si chiama Leandro, e ovviamente conosce queste zone come le sue tasche. A un certo punto ci mostra uno scorcio panoramico attraverso cui è possibile vedere in lontananza le Tre Cime di Lavaredo.

Arriviamo finalmente alla forcella, e qui la vista si apre su uno scenario fantastico: la Val Montanaia, che si stende di fronte a noi, è circondata dalle guglie dei Monfalconi e degli Spalti di Toro; e, esattamente al centro, si erge il celebre Campanile. In una ventina di minuti di discesa ne raggiungiamo la base (presso cui si trova il Bivacco Perugini) e ci concediamo una lunga e meritata pausa, in contemplazione di tanta bellezza.

L'amenità del luogo indurrebbe a rilassarsi... ma abbiamo ancora 800 m da scendere per arrivare al Rif. Pordenone; e non saranno proprio una passeggiata. Infatti, anche su questo versante la valle "precipita" in un canalone detritico. Non ripido come quello di salita, ma comunque impegnativo e lungo. Il sentiero è però molto frequentato, per lo più da escursionisti che salgono ad ammirare il Campanile di Val Montanaia.

Il Rifugio Pordenone è molto carino, gestito dai simpatici e accoglienti Marika e Ivan. Diversamente dalla maggioranza dei rifugi in cui abbiamo fatto tappa, questo rimane animato anche la sera. A cena condividiamo il tavolo con una signora di Treviso e un signore sloveno che parla un buon italiano.

Venerdì 30 agosto
Tappa 7: dal Rif. Pordenone a Erto

Seguendo il tracciato originale dell'Alta Via n. 6 oggi inizierebbe la parte "tosta", con i pernottamenti in bivacco. Ma noi, come detto all'inizio, abbiamo scelto di far i sióri, limitandoci alla parte "comoda". Non escludo, in futuro, di tornare per fare le tappe mancanti, certamente molto belle e ancor più selvagge e solitarie rispetto a queste prime sei.

Per noi, la tappa di oggi è, in sostanza, una lunga discesa attraverso la Val Cimoliana, alla cui testata si trova il Rif. Pordenone. Dobbiamo percorrerla tutta fino al paesino di Cimolais, dove essa confluisce nella Val Cellina. Il cammino, sulla carta, è noioso, poiché la valle è interamente percorsa da una strada carrozzabile (in parte sterrata e in parte asfaltata). In realtà la valle è molto bella, incassata tra alte pareti dolomitiche, e la strada è a pedaggio, quindi il traffico è molto limitato.

Nella mia idea originale, a due terzi della discesa avremmo dovuto deviare per un sentiero che ci avrebbe riportato un po' in quota, per poi riscendere direttamente su Erto. Ma, già prima di partire, avevo appurato che tale sentiero è attualmente chiuso per lavori di ripristino a seguito di un evento atmosferico.

Arriviamo a Cimolais in tarda mattinata. Per proseguire fino a Erto non ci sono sentieri: bisogna camminare per 6 km lungo la strada provinciale. Potremmo anche evitarcela, prendendo il pullman di linea; ma dovremmo attenderlo quasi due ore. Quindi decidiamo di proseguire a piedi. Per fortuna c'è una carrareccia che ci consente di evitare la strada per un paio di km, fino al Passo S. Osvaldo. Poco dopo il passo c'è un altro sentierino segnato che dovrebbe permetterci di tagliare acora un po'. Ma, dopo averlo imboccato, ci rendiamo conto che esso percorre un tracciato diverso da quello disegnato sulla carta; per cui decidiamo di abbandonarlo e tornare sulla strada, che ci porta finalmente a raggiungere Erto, nostra meta finale.

Oggi il paesino è noto per essere la "patria" di Mauro Corona. L'affittacamere dove abbiamo prenotato per la notte si trova proprio accanto al suo laboratorio, che però è chiuso. In realtà questa zona deve la sua fama a una storia ben più triste. Ci troviamo infatti proprio sopra a quello che fu il lago del Vajont. Sul versante opposto della valle è ancora ben visibile il segno lasciato dall'enorme frana che provocò l'inondazione del 9 ottobre 1963. Erto, trovandosi in alto sopra il lago, non fu completamente distrutto come Longarone e gli altri paesi del fondovalle; ma subì comunque gravi lesioni e fu dichiarato inagibile. Il paese moderno è stato ricostruito un poco più a monte, e solo in anni recenti le case del centro storico hanno iniziato ad essere recuperate e riabitate.

Dopo un'abbondante cena in un'osteria del centro storico, ce ne andiamo a dormire. Domani non ci resta che prendere il primo autobus per Longarone, recuperare l'auto e metterci in viaggio verso Roma. Ma questa è una tappa che non vale la pena di raccontare. 😉

Un po' di foto: https://www.ergaspa.net/foto/altavia-dei-silenzi/

Alla prossima avventura!

Gasp&Tiz.


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