Aletschhorn Story
Le prime due parole che mi vengono in mente sono “grande” e “fame”.
“Grande” perché è la montagna centrale dell’Oberland, quella che con i suoi 4.195 m di altezza, pur non essendo la più alta del gruppo, è il pilastro centrale intorno al quale gira tutto l’immenso sistema di ghiacciai del gruppo: il Grosse Aletsch Gletcher è il ghiacciao più grande d’Europa sia per superficie, sia per lunghezza con i suoi 24 Km dallo Jungfrau joch (quota circa 3500) allo spalto sopra la valle del Rodano (quota circa 1600), per 1,5 Km di larghezza media e parecchie centinai di m di profondità; L’Eiger è la parete nord più alta d’Europa, 1800 m di dislivello dalla base alla vetta; il trenino dello Jungfrau joch è il più alto d’Europa e probabilmente anche il più ardito, poiché sale per parecchi chilometri in una galleria elicoidale all’interno del Eiger e del Monch; ecc. ecc.
“Fame” perché, forse per la prima volta in vita mia, mi sono fatto male i conti e ho dovuto passare una notte in più al Mittel Aletsch Bivaak avendo esaurito le scorte alimentari. Intendiamoci, non parlo di crampi allo stomaco o di acquolina in bocca, ma di quel leggero senso di spossatezza che riconosci dipendere dal fatto che hai finito le energie, ma che sai di non poter reintegrare perché altrimenti non avrai più niente da mettere sotto i denti per le prossime 24 ore.
Sono quelle situazioni in cui ti rendi conto di essere un impiegato di mezza età, velleitario alpinista, e che proprio non hai niente a che vedere, ma nemmeno lontanamente con i Bonatti, i Messner e tutti gli alpinisti “veri” di cui hai sentito e letto fin da ragazzo. Quelli dormono in un buco nella neve con trenta sotto zero, mentre tu in un comodo e ordinato bivacco ti devi mettere 3 o 4 coperte addosso, altrimenti tremi come una foglia; quelli sono capaci di non mangiare per giorni e di continuare a camminare 24 ore su 24, mentre tu se non ti infili in bocca almeno un pezzo di cioccolata o una barretta ogni 2/3 ore diventi un pupazzo di cartapesta; quelli portano zaini di 30 kg, mentre tu, solo per avere spalleggiato gli sci più del previsto, a fine giornata hai i trapezi che ululano e i quadricipiti in fiamme….
Ma veniamo ai fatti: dopo vari abboccamenti con Alberto (Paleri – guida alpina), per il Grand Combin, alla fine causa maltempo e scarso innevamento si decide per l’Aletschhorn, siamo Lui e 3 suoi clienti storici … mi tocca pure prendermi 3 giorni di ferie in mezzo alla settimana, ma non fa niente, la compagnia è buona e ho voglia di farmi l’ultima sciata della stagione sulle Alpi. Prendiamo la funivia a Fiesch, vicino Briga, che ci deposita su un bell’alpeggio a q.2200. Di neve nemmeno l’ombra, “vabbè” penso io “siamo su un versante sud, mica possiamo pretendere la luna”. Alberto (che minimizza sempre) dice: “ora abbiamo un’oretta con gli sci in spalla, seguiamo la pista di sci poi prendiamo il tunnel (una diavoleria che si sono inventati gli svizzeri per fare arrivare i turisti al margine del ghiacciaio in auto) e dall’altro lato troviamo la neve”.
Il tunnel è fichissimo, separa il mondo “civile” da quello remoto e isolato del ghiacciaio, è una sorta di stargate che percorriamo fiduciosi con le ns. belle frontali da minatori per un quindicina di minuti. E dall’altra parte (località Marielesee – piccolo laghetto di fusione) la neve c’è, poca e a chiazze, ma c’è; siamo a quota 2360 e dobbiamo scendere in leggero falsopiano a mezzacosta fino al bordo sinistro del ghiacciaio.
Cominciano i numeri: il ghiacciaio si deve essere proprio ritirato e la neve è proprio poca: ci ritroviamo su dei placconi di roccia esposti con qualche chiazza di neve che dobbiamo “indovinare” con gli sci. Alberto si butta di fianco (sci ai piedi) su uno di questi lastroni inclinati a 35-40° e atterra, dopo un paio di metri, fortunosamente su un terrazzino di neve. “È suonato” penso tra me e me, ma non posso non seguirlo; mi bagno i pantaloni, ma me la cavo. Poi arriva Emanuele, si vede che ha fifa; “tranquillo” gli fa alberto, “ti metti di fianco e fai la scivolarella” … quello si gira e finisce quasi a capasotto; Alberto lo acchiappa per un braccio, “facile, no?” Ehh…
Tiriamo avanti…. dopo 20 min di questo calvario siamo finalmente sotto le gobbe grigie e spelacchiate del Grosse Aletschhorn Gletcher; sono passate già 2 ore dalla stazione superiore della funivia e siamo alla stessa quota di partenza, anche in linea d’aria verso il bivacco non abbiamo guadagnato quasi niente, ma abbiamo già percorso circa 5 Km. “mi sa che dobbiamo mettere i ramponi e traversare a piedi” fa Alberto “eppure ci sono venuto 2 settimane fa ed era pieno di neve”. La delusione si stampa sui visi di noi poveri 3 Clienti, si intuisce il pensiero di ognuno di noi “cacchio, ci tocca pagare per nemmeno farci una bella sciata”. Rassegnati calziamo i ramponi e partiamo.
Il ghiacciaio sembra un oceano infuriato, ma immobile (sebbene derivi di 180 metri l’anno): scuro, squassato, ruvido e tagliente …. tiro giù le maniche e metto i guanti (non si sa mai); ci sono due morene galleggianti (tipo Baltoro), perfettamente simmetriche rispetto all’asse, che lo percorrono per quasi tutta la lunghezza a qualche centinaio di metri di distanza l’una dall’altra. È faticoso salire e scendere per queste onde ghiacciate e laborioso il passaggio dei crepacci più aperti; comunque, gira e rigira, sali, scendi, ghiaccio e pietre, alla fine approdiamo sulla sponda opposta: siamo già stanchi e sono già passate 3 ore e mezzo dalla partenza. Guardiamo l’altimetro: 2000 e qualcosa, “Nooo!” dobbiamo fare ancora1000 m di dislivello per arrivare al bivacco e di neve non se ne vede nemmeno l’ombra!
Dopo un veloce spuntino ci rimettiamo in marcia nella canicola delle 14,00; dopo l’oceano infuriato ci tocca il deserto di pietre; una volta il grosse Aletschhorn Gletcher e il Mittel Aletschhorn Gletcher erano contigui, il secondo una specie di affluente del primo, tant’è che sulla precisa carta svizzera in mio possesso l’isoipsa del punto più basso di confluenza dei de ghiacciai è quella di quota 2200. Ora c’è una buca dove scorre un fiume imponente e le propaggini del Mittel Aletsch non iniziano prima di 2300-2350 m (non si capisce bene perché è comunque tutto ricoperto di pietre).
A quota 2400 finalmente troviamo la neve. È neve che copre appena le pietre, ma è sufficiente; le spalle respirano e il movimento delle gambe diviene fluido ed efficiente. Sono le tre del pomeriggio e ci vogliono altre due ore per arrivare al bivacco; si passa un tratto più ripido con qualche crepa lunga e stretta, ma non ci sono grossi pericoli oggettivi. Nel frattempo il cielo si è coperto e nevischia.
Il bivacco (3015 m) è bello, 13 posti + 4/5 materassi di fortuna, di legno, pulito e ordinato … svizzero: c’è anche la cassettina per mettere il corrispettivo dovuto: 10 franchi, la guida non paga. Cominciamo a scaldare l’acqua sul camping gas che ci siamo portati dietro: fortunatamente non bisogna squagliare la neve, fa abbastanza caldo e possiamo riempire un secchio ad un rigagnolo di acqua di fusione a pochi metri. La cena è spartana: tanto tea, un pezzo di formaggio, una scatoletta; ognuno si è regolato secondo le sue forze e la sua esperienza. Alle sette, finito l’effetto dell’acqua calda nello stomaco, comincio ad avere i brividi: fuori la neve comincia a indurire, dentro al bivacco ci saranno al massimo 6 o 7 gradi. Ci dobbiamo per forza infilare nelle cuccette con 3 o 4 coperte addosso.
La notte passa tranquilla e alle quattro siamo tutti in piedi per i preparativi: altri litri di tea, frutta secca, una barretta, un pò di muesli; imbrago, scarponi, ARVA, guanti, cappello …. Il solito rituale propiziatorio del mattino e il solito armamentario … fuori è sereno, la neve bella tosta e il pendio ripido. Mettiamo subito i rampant e prima delle cinque cominciamo a risalire con lunghe diagonali verso l’Aletsch joch. Alle sei è chiaro, spegniamo le frontali e continuiamo a salire in silenzio, con passo cadenzato sulla neve scrocchiarella, accompagnati dalla cantilena dei rampant che mordono la neve.
Saliamo la sella dal pendio sottovento e c’è un pò di cornice; prudentemente leviamo gli sci e calziamo i ramponi; sotto la crosta di rigelo la neve è incoerente e si sprofonda fino al ginocchio; non ci piace tanto e raggiungiamo il joch (3629 m) mantenendo la distanza di sicurezza. Il sole delle sette ci ferisce gli occhi, tiriamo fuori crema e occhiali mentre valutiamo la situazione. Purtroppo la cresta che dobbiamo percorrere è ghiacciata con una trentina di centimetri di neve nuova, del tutto incoerente, sopra. Alberto decide di farci lasciare gli sci per non portarci peso inutile sulle spalle essendo quasi certo di non poterli usare in sicurezza neanche in discesa. Diventa una salita alpinistica con gli scarponi di plastica; rosico, ma non ci posso fare niente, il capo è Lui. Ci leghiamo, piccozza in mano e via.
La prima crestina (fino q. 3718) va via liscia, con un pò di fifa per l’esposizione da entrambi i lati, ma abbordabile; segue un plateau facile fino sotto l’anticima (4086 m), dove si comincia ad accusare la stanchezza. Qui c’è anche il punto più critico: una larga crepaccia terminale con il bordo superiore almeno di un metro più alto rispetto a quello inferiore, seguito da una parete di ghiaccio di 50 metri inclinata a 40-45 gradi. Spero che Alberto faccia un tiro (abbiamo due corde da 30), ma neanche per sogno; scavalca la crepaccia a destra e comincia a salire in piolet come se fosse su una duna di sabbia. Il secondo di cordata, Emanuele, fa un pasticcio e rimane appeso come un pollastrello sul bordo superiore del crepaccio. Alberto bestemmia qualcosa del tipo ”sono trent’anni che vai in montagna e ancora fai queste cazzate”. Pianta la picca e lo tira su quasi di peso.
Io mi caco sotto, vedo l’Hollandia hutte 1000 m più in basso e ho tutto l”Hassler Ripple” (la nord dell’Aletschhorn) sotto i miei piedi. Non profferisco verbo, mi sento come Fantozzi di fronte al MegaDirettoreGalattico, meno un gran fendente con la piccozza sul ghiaccio sopra la crepa e metto prudentemente i piedi dove mi sembra di vedere qualche piccola intacca lasciata dagli altri. Concentrato come un fachiro sugli spilli mi tiro su adagio cercando di non perdere l’aderenza; passo e mi terrorizzo completamente vedendo l’intero muro di ghiaccio che dobbiamo superare.
“Allora, adesso mi raccomando: ramponi di punta e piccozza in piolet di becca … è facile non vi preoccupate” dice Alberto. “te possino …ma perché non fai un tiro e poi ci fai salire con calma” penso io. Qui basta che uno cade e si tira giù tutti … già non mi fido di me stesso, figuriamoci degli altri! Alberto è così: in certe situazioni si fida come se la pelle non fosse la sua, in altre, invece, è fin troppo scrupoloso. Forse dipende dal fatto che scio bene, ma arrampico male.
Per farla breve sono 50 metri lunghi, lunghissimi, quasi infiniti, con i polpacci al limite del crampo, la spalla destra indolenzita dalle gran botte che devo dare per infilare la becca e Manuele, sopra di me, che ogni 5 metri si deve fermare lasciandomi puntualmente nei punti più duri: Sudato come un maiale nonostante il freddo e l’esposizione a nord, con il fiato corto e una paura tremenda di cadere, alla fine arrivo sopra sano e salvo. Sono completamente esaurito, ma non mi posso mangiare niente; mi sono rimaste 3 albicocche secche per la vetta e un culetto di salamino per il pranzo al ritorno. Sono le 10,00 e ci mettiamo altri tre quarti d’ora per arrivare alla croce.
La vetta è bella, magnifica, come sempre in questi casi; non c’è nemmeno vento, e si contano i quattromila a decine subito intorno e nel Vallese. Peccato che il riposo dura poco. Sono le 11,00 e bisogna tornare. Nel frattempo comincia serpeggiare la consapevolezza che non faremo mai in tempo a tornare a valle in serata, bisognerà anche razionare i viveri …. Intanto mi sono bevuto l’ultima stilla di acqua e so che non potrò né bere, né mangiare fino al ritorno al bivacco.
La discesa è una storia di resistenza: prima la crestina di misto, per niente banale in discesa; poi la decisione di non ripassare per l’anticima, ma di seguire la normale sci alpinistica traversando a destra della medesima su 30 cm di neve collosa (zoccolo a gogo) con bei crepacci nascosti (finiamo tutti almeno una volta in un buco, chi fino all’inguine, chi fino ai gomiti); poi ancora la crestina fino all’Aletsch joch. Si è fatta l’una e sono completamente disidratato dalle due ore di sole pieno su questo versante sud est, mi sento pure mezzo intontito e mi metto in bocca un pezzetto di neve. L’unica cosa che mi tira su il morale è il pensiero che finalmente si scia e in mezzora siamo giù al bivacco con “acqua e ombra”.
Invece neanche per sogno; c’è anche il colpo di scena finale: Alberto è nervoso e comincia a guardare in basso … “adesso state zitti e fate quello che dico io”. Ha paura che si possa staccare una grossa valanga, visto il caldo e la scarsa coerenza del pendio. Io, nella mia superficialità non ci ho pensato (sarà stato anche per l’intontimento), mi sembrava un bel pendio di neve primaverile.
Giuntiamo le corde e piantiamo un paio di sci nella cresta quasi fino alla punta; facciamo un ancoraggio e passiamo la corda nel moschettone; Alberto parte in derapata “se viene giù tutto tenete, così rimango appeso”. Io non ci credo che possa venire giù tutto, ma la sicurezza in questi casi non è mai troppa. Alberto fa un tiro da 60 traversando a sin. verso un costola rocciosa, dove il pericolo è minore. Ma la corda non basta; si ferma e pianta i suoi sci da 1,80 per intero nella neve (questo la dice lunga sulla quantità di neve e sulla scarsa consistenza della stessa). Io mi aggancio con la longe alla corda e scendo in derapata; non ho paura, la manovra tecnicamente non è banale; ma faccio presto. Il terzo invece si impicca e cade a metà perché il nodo delle due corde gli si incastra nel moschettone …sono attimi di tensione, Alberto è una furia; poi finalmente Manuele si sbroglia e arriva. Il quarto lo assicuriamo noi, se la cava benino e prosegue per il secondo tiro fin alla zona più sicura. Poi, uno ad uno, lo raggiungiamo.
Con la tensione, mi è passato completamente l’intontimento e vedo il tetto del bivacco 600 m più in basso. Finalmente sciamo, in traccia perché comunque è troppo tardi per gli esibizionismi; la neve è discreta, ma non eccezionale, ogni tanto incolla, perché non è completamente trasformata come dalle ns. parti, e in breve, dopo qualche slalom tra i pietroni attorno al bivacco, approdiamo.
Alle due mi butto sul rigagnolo d’acqua che scorre tra le pietre dell’isola di rocce in mezzo alla neve. Quanto è brutta la sete! Poi mi sparo il culetto del salamino e una crosta di Asiago avanzata dalla sera prima. Ora sto bene, ma non ho più nulla …. Continuiamo a bere acqua calda per tutto il pomeriggio … è finito anche lo zucchero, ricomincia a nevischiare.
Alle 17,30 Guido scopre le riserve alimentari del bivacco; dei fichi secchi ammuffiti, una minestrina knorr scaduta, un pasticcio di pasta carne e verdure tailandese: scade nel 2012, lo buttiamo in pentola e ce lo divoriamo! Evviva, la cena pure è fatta, un altro paio di litri di acqua calda e ce ne possiamo andare a letto. Tra le 19,00 e le 20,00 sveniamo tutti in branda.
Sono talmente fiacco che faccio tutta un tirata fino alle 3,00. Alle 5,00 ricominciamo i preparativi, una bustina di cappuccino in 2, 1 nescafè, 1 frutti di bosco, tutto rigorosamente senza zucchero … Alberto ha compassione e mi allunga mezza barretta, è stato più previdente di me e poi è capace di non mangiare per molto più tempo; lo vedo sempre più magro e sempre più alto, come cavolo fa? … forse è per questo che è guida.
Alle sei calziamo gli sci e ci facciamo una gran bella sciata all’alba con gli sci che traballano un po’ sul ruvido del firn indurito della notte. La vetta dell’Aletschhorn ci guarda, illuminata, da sopra l’enorme seracco pensile su cui poggia. Poi via tutto, sci nello zaino, cappellino di cotone, occhiali e crema … deserto di pietre, traversata dell’oceano infuriato a ritroso, il quadretto stupendo svizzero del Marielesee, il tunnel, l’alpeggio e la funivia. Ci abbiamo messo comunque 5 ore, da freschi e con le condizioni ottimali del mattino; non ce l’avremmo mai fatta la sera, stanchi com’eravamo e con il caldo del pomeriggio.
Alle 13,00 finisce questa storia a lieto fine in una trattoria di Gondo, appena passato il confine; finalmente mangiamo e beviamo a sazietà …. E’ stato bello.
|