Mi dispiace...
Un botto spaventoso mi esplode nelle orecchie e capisco di essere stata colpita a schiena e testa da qualcosa di grosso; nello stesso momento mi esplodono nella testa queste parole.
Poi sbotto a piangere, a singhiozzi, un pianto inconsulto ma positivo proprio come quello di un bimbo appena nato, perchè vuol dire che ci sono! Sono incastrata in questa fessura e un masso mi è caduto addosso schiacciandomi, a rendermi un fagotto accartocciato su se stesso. L’urlo di Chiara sopra di me mi ha gelato e nello stesso tempo protetto: ho fatto l’unica cosa che potevo fare, rannicchiarmi il più possibile contro la parete per proteggermi. Ma mi aspettavo una gragnuola di sassi e invece è venuto giù un affare unico che mi ha colpito pesantemente alla schiena e sulla spalla destra.
Sono frastornata, ho dolore sotto la nuca e alle spalle, rispondo agli altri che mi chiamano, cerco di riprendermi. Sono ferma accosciata su una specie di terrazzino, in quella nera fessura che è la parte sommitale della via Gualerzi. Con cautela scende accanto a me Claudio che mi dice di fare lentamente dei movimenti del collo mentre sono ancora rannicchiata; farfuglio che ho preso una botta alla colonna sotto la nuca, non posso toccare che mi fa male, ma i movimenti non mi arrecano dolore. Quello che mi ritrovo tra i piedi, mi dice Claudio, è ciò che mi ha colpito: un masso piatto, pesante una trentina di chili, che mi ha preso di piatto, per fortuna. È partito poco sopra la mia testa, atterrando senza troppa velocità su di me e senza girarsi di taglio, colpendo lo zaino e il casco che mi hanno salvato.
Con calma e l’aiuto di Claudio inizio a muovermi per spostarmi da li. Giorgio è poco sotto con Eugenio e sopra di noi ci sono Chiara, Giuseppe e Flavio. Seguo le indicazioni di Claudio su dove mettere i piedi e faccia a monte mi porto più in basso, gli occhi pieni di lacrime, il cuore a mille.
Mi siedo a riprendere possesso delle mie facoltà, è avvenuto tutto così improvvisamente e repentinamente. Era andato tutto bene fin qui, stavamo riscendendo per il breve tratto della Gualerzi che porta ai terrazzi e poi da li avremmo proseguito verso la vetta Occidentale e chiuso il giro delle 3 vette. Ma ora Claudio dice a Giorgio che si va tutti giù e nessuno ha nulla a che ridire. Chiara è sconvolta quanto me, ha visto partire il masso e me sotto a fermarne la caduta. Sono passati sei mesi esatti dall’incidente al ginocchio e anche oggi ci sono con me gli stessi amici presenti a gennaio, con in più Giorgio e Flavio. Quando mi ricongiungo con Giorgio mi abbraccia forte e poi abbraccia Chiara, che scoppia in un pianto liberatorio anche lei. Nessuno ha toccato quel masso, si è mosso perché così ha deciso la sorte. Mi rendo conto mentre scrivo che le frasi che sto scrivendo sono frammentate, ma rispecchiano gli stati emotivi vissuti. Non ho un flusso lineare nella mente, ma momenti ravvicinati eppure distinti. Non so spiegarmi meglio, certamente ero molto frastornata, quasi un’automa. Ho fatto anche le doppie, a guidarmi la voglia di uscire presto dalla Gualerzi evitando i sassi che ogni tanto venivano giù al passaggio dei miei compagni.
Hanno scherzato con il mio cognome gli altri, dopo. Pietra-ngeli.
Hanno scherzato sulle rosce che spaccano pure le pietre.
Hanno scherzato messo piede sul Calderone e poi tornando a Campo Imperatore.
Ed io ho riso, mi sono ripresa abbastanza.
È andata bene, sono qui a raccontarlo, pur con i dolori e nell’attesa che la lastra al collo mi confermi che è tutto a posto.
Come si fa a spiegare che andiamo in montagna anche sapendo che è pericoloso? Forse non lo sappiamo davvero fino a quando non lo testiamo? E poi? Che si fa? Si smette di andare?
Cosa viene prima, se stessi e il proprio stare bene o un figlio? Capirebbe un bambino perchè ti sei messa nelle condizioni di rischiare di romperti l’osso del collo?
Troppe domande affollano la mente, un buco nero nel cuore in cui affogano le emozioni e spero anche lo spavento.
15 luglio 2017
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