Luglio 2019
Per varie ragioni, erano ormai sei anni che non mettevo piede su un ghiacciaio.
Quest'anno, nelle bollenti giornate di fine giugno, torna prepotente il desiderio di rinfrescare il corpo e la mente con il ghiaccio delle alte cime.
Dopo varie vicissitudini, riesco a pianificare una "fuitina" per la seconda metà di luglio.
Prima questione: che meta scegliere? Il pensiero va ovviamente ai grandi 4000 delle Alpi occidentali: ma in Valle d'Aosta andrò già in agosto; e andare in Svizzera è troppo lontano dati i pochi giorni a disposizione.
Alla fine la scelta cade sul Cevedale, che soddisfa tutte le esigenze principali: non è troppo lontano; è, a detta di tutte le relazioni che trovo, una bella salita; infine non è difficile (data la lunga astinenza da ghiacciaio, devo necessariamente ricominciare con qualcosa di facile).
La via normale parte dal rif. Casati, posto a 3269 m nei pressi del confine tra Lombardia e Alto Adige, e risale un'ampia dorsale ricoperta dal ghiacciaio, fino a guadagnare la cresta e infine la vetta a 3769 m. La difficoltà alpinistica è F+; se si vuole salire anche sulla vetta secondaria, detta Cima Cevedale o Zufallspitze, sale a PD, a causa di un breve tratto roccioso da superare per raggiungerla.
Le possibilità di avvicinamento sono tre: una dalla Lombardia, precisamente dalla Valfurva; le altre due dall'Alto Adige: da Solda e dalla Val Martello. Facendo alcune ricerche, sembra che il versante più bello e più "selvaggio" sia quello della Val Martello, per cui decidiamo di salire da lì.
Il gruppo - anche qui dopo alcune vicissitudini - è formato da me, Enrico e Bruno.
Per risparmiare un giorno di ferie decidiamo di partire il venerdì sera con un treno notturno che ci porterà a Bolzano. Lì noleggeremo un'auto per arrivare in Val Martello, dove faremo un'escursione di primo acclimatamento. Quindi la domenica saliremo al rif. Casati e il lunedì punteremo alla vetta (nelle mie "spedizioni" ho sempre pianificato di salire in vetta in un giorno feriale per trovare meno gente). Infine il martedì rientreremo a Roma.
Venerdì 19 luglio: il suddetto terzetto si ritrova alla stazione Termini, stracarico di zaini, scarponi, corda e ammennicoli vari, e parte alla volta di Bolzano.
In treno riusciamo anche a dormire abbastanza bene e il sabato mattina, freschi e riposati, saliamo in auto verso la Val Martello.
Le alte cime si schiudono pian piano di fronte a noi e, arrivati alla fine della strada carrozzabile, iniziamo già a intravedere qualche spicchio di ghiacciaio.
Lasciata la macchina, ci carichiamo in spalla i pesanti zaini e saliamo verso la nostra prima meta: il rif. Nino Corsi. Questo si trova in una splendida posizione alla testata della Val Martello, a circa 2200 m, nel punto di convergenza di tre valli secondarie, tutte percorse da innumerevoli torrenti e cascate e sormontate da ghiacciai che, pur se in costante e inesorabile ritiro, hanno ancora un aspetto maestoso e imponente.
Lasciati armi e bagagli al rifugio, ce ne andiamo a passeggio alla scoperta di questa splendida valle. Seguiamo una traccia indicata come "sentiero glaciologico" che risale per circa 500 m costeggiando una grande cascata e attraversando morene glaciali, fino a raggiungere il rif. Martello a circa 2600 m. L'ambiente, già di per sé meraviglioso, è ulteriormente impreziosito da un vero e proprio tappeto di rododendri in fiore.
Tornati al nostro rifugio, prima di cena approfittiamo per ripassare le manovre per la realizzazione del paranco "mezzo poldo", nella malaugurata ipotesi che qualcuno di noi dovesse incappare in un crepaccio "dispettoso" (e io ne so qualcosa...).
Quindi, dopo un'abbondante cena, andiamo a letto di buon'ora, vista la sfacchinata che ci attende l'indomani: 1000 m abbondanti di salita fino al rif. Casati, l'ultima parte dei quali già su ghiacciaio. La salita è data per 4 ore (il gestore del rifugio addirittura la dà per 3 ore). Ma, carichi come siamo, noi ci metteremo sicuramente di più.
La mattina dopo, dunque, gambe in spalla! Iniziamo a risalire l'ampia valle glaciale che, manco a dirlo, man mano che saliamo diventa sempre più bella e selvaggia. Tutto un susseguirsi di ruscelli, cascatelle, nevai formanti piccoli laghi in cui si specchiano i ghiacciai delle cime circostanti. A momenti provo una sensazione che più volte mi è capitato di sperimentare in montagna: la sensazione di trovarmi in un'altra era geologica, di essere tornato indietro di milioni di anni. Ci troviamo infatti in un ambiente davvero primordiale, dove, al di fuori dell'esile traccia di sentiero, non c'è alcun segno dell'uomo e la Natura è regina incontrastata.
Poco alla volta, man mano che guadagniamo quota, iniziano a mostrarsi ai nostri occhi le mete finali della nostra ascensione: la Zufallspitze e la vetta principale del Cevedale.
Il tempo è complessivamente buono, ma a tratti nuvoloso. Quando arriviamo a circa 3000 m, alle propaggini del ghiacciaio, le nubi si abbassano, riducendo in parte la visibilità.
Per fortuna questo non ci crea problemi: sul ghiacciaio, che abbiamo nel frattempo iniziato a percorrere dopo esserci legati in cordata, la traccia è ben visibile e ci conduce in men che non si dica al rif. Casati, dopo 5 ore complessive di cammino.
Qui, accolti dal gestore e dalla sua graziosa e simpatica aiutante, approfittiamo per concederci subito un lauto pasto, a compensazione delle energie profuse in salita.
Nel pomeriggio, rialzatesi le nuvole e tornata dunque la visibilità sulle montagne circostanti, saliamo sulla Cima di Solda, modesto "panettone" detritico poco sopra il rifugio. Qui abbiamo la visione chiara e completa delle "nostre" cime dell'indomani, e alle nostre spalle la maestosa piramide del Gran Zebrù.
Sul terreno sono inoltre presenti evidenti resti delle trincee della Prima Guerra Mondiale, a ricordarci come questi luoghi, che oggi per noi sono fonte di gioia e divertimento, un secolo fa siano stati teatro di dolori e atrocità che speriamo non debbano mai più ripetersi.
Rimaniamo una mezz'ora abbondante sulla cima, approfittando, come dice Bruno, per respirare l'aria sottile dei 3300 m e favorire il buon acclimatamento.
Il mattino dopo sveglia alle 5.30, colazione alle 6.00 e in men che non si dica eccoci pronti a partire. Legatici in cordata, io in testa, Enrico al centro e Bruno in coda, iniziamo a salire verso la nostra agognata meta. Il tempo, come da previsioni, è bellissimo, solo leggermente velato.
Il ghiacciaio sembra essere in condizioni ottimali. Ho letto in tutte le relazioni che i punti delicati sono due: un tratto pianeggiante, lievemente convesso, a circa metà salita, che risulta abbastanza crepacciato; e poi il superamento della crepaccia terminale, poco prima di giungere in cresta.
Tuttavia noi siamo facilitati da due fattori: in primo luogo la traccia, perfettamente visibile sul terreno, ci indica il percorso più sicuro da seguire. In secondo luogo, probabilmente anche grazie alle abbondanti nevicate primaverili di quest'anno, lo strato di neve che ricopre il ghiacciaio è ancora assai consistente e la maggior parte dei crepacci sono chiusi. Alcuni, molto grandi e ben visibili, li aggiriamo a debita distanza; altri più piccoli, in alcuni casi intuibili anche se chiusi, li superiamo senza difficoltà. Anche la crepaccia terminale, per la ragione di cui sopra, risulta ancora quasi del tutto chiusa, e quindi superabile con relativa tranquillità. In breve, eccoci sull'aerea cresta sommitale e quindi ai 3769 m della vetta del Cevedale.
Abbiamo impiegato 2 ore e un quarto dal rifugio, solo 15 minuti in più di quanto indicato nelle relazioni.
Il tempo per qualche foto e per goderci il fantastico panorama su tutto il gruppo dell'Ortles-Cevedale e poi, confortati dal nostro buon ritmo e dal tempo che si mantiene bello, decidiamo di "conquistare" anche la vetta gemella, la Zufallspitze.
Percorriamo quindi la non difficile cresta che unisce le due cime e, salite le facili rocce finali, calchiamo la nostra seconda vetta.
Ripercorriamo quindi a ritroso la via di salita e prima delle 13 siamo di nuovo al Casati.
Qui, ancora una volta, ci concediamo una meritata pausa ristoratrice e poi, caricatici nuovamente in spalla i nostri zainoni, riscendiamo verso il rif. Corsi, dove giungiamo alle 17.30, stanchi ma felici per il pieno successo della nostra "impresa".
Il martedì mattina decidiamo che siamo troppo stanchi per fare un'ultima escursione, quindi scendiamo a riprendere l'auto e ce ne andiamo a fare i turisti a Merano, dove con un ultimo brindisi mettiamo il suggello finale su questa bella avventura che abbiamo condiviso e che, come spesso capita in montagna, ci ha regalato attimi di pura felicità.
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